giovedì 18 settembre 2008

Cibo di parole

Eserciti di pagine cosparse di parole intrecciate, come le raffinate trame di un broccato prezioso e raro. Stanno lì, stagliate lungo i terrapieni che sostengono i barlumi spenti del mio sguardo assente. Stanno lì, a difesa della mia vuota dimora. Ultimo baluardo di un patetico abbozzo di sussulti e sensazioni.
Sono presenze. Sono spiriti che mi guardano, mi osservano, mi accarezzano affettuosamente la testa e il cuore.
Vago dentro di loro, mi perdo, viaggio, fuggo, scopro universi sorprendenti, nuovi e cangianti. Sono il mio unico nutrimento.
Gli occhi sono diventati la mia bocca. E la mia bocca, ormai, è uno scrigno chiuso, serrato ermeticamente con chiavistelli di silenzio e solitudine. Le mie pupille sono perle scintillanti che rotolano e rimbalzano tra le macchie di inchiostro e ne distillano, avide e impazienti, il succo inebriante che tracima dagli arabeschi procaci e turgidi delle parole.
Unico appetito che l'anima ancora avverte. Unica sete. Unica vaga pulsazione delle viscere che possa avvicinarsi a qualcosa che somigli a un'emozione. Unico calore, unica compagnia.
Non esiste altro al di là di questi dedali infiniti di parole che ingurgito e vomito. Ingurgito e vomito, come fiera selvaggia che tenti di placare la morsa insopportabile della fame.
Illusoria panacea a questa ostinata follia insensata che si chiama vita.

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