mercoledì 6 agosto 2008

Spleen

Attraverso questa tenda spessa di cotone grezzo osservo il monte da cui si guardano le stelle. Ipotesi di sogno e conquista ormai inutile. Non mi interessa più lo sfolgorante fragore del firmamento. L'ho visto esplodere e rigenerarsi dentro decine di deliri trasognanti impressi su tela. L'ho visto nascere milioni di volte da occhi smeraldini e inquieti, e dita impiastricciate e affusolate. L'ho amato e abitato. Dentro colori iridescenti avevo trovato una nicchia calda di beatitudine, un pertugio dove rifugiarmi nei momenti grigi e plumbei, dove annegare il dolore e celebrare la gioia. Ora la mia casa è un luogo angusto e capzioso, senza tempo e senza passioni. Ora sono tornata in basso, tra i comuni mortali, in quello spazio indolente e insidioso dove i giorni scandiscono non più la follia e la trepidazione, ma la noia e il dolore, dove la realtà è una gabbia che morde le carni e il cielo una macchia di inchiostro incerta e fortuita, un gioiello prezioso agghindato di lontananza e assenza.
Il tempo è un animale stanco dal passo lento, goffo e cadenzato.
Un orologio molle, che si scioglie come un gelato al sole, scandisce le ore. Tutte uguali, tutte ornate di vacuità e accidia.
Il senso delle cose è un'onda che fluttua lungo gli sguardi ingannevoli della memoria.
E sempre quell'inebriante profumo appiccicato alla mia pelle, che non se ne va. Gratto e martorio la carne con le unghie, come animale infoiato e impazzito, ma esso permane, è ormai penetrato nei pori e nello scheletro dell'anima e dei sensi, e lì è la sua dimora eterna.


"Quando il cielo basso e greve pesa come un coperchio sullo spirito che geme in preda a lunghi affanni, e versa, abbracciando l'intero giro dell'orizzonte, un giorno nero più triste della notte;

quando la terra è trasformata in umida prigione dove la Speranza, come un pipistrello, va sbattendo contro i muri la sua timida ala e picchiando la testa sui soffitti marci;

quando la pioggia, distendendo le sue immense strisce, imita le sbarre d'un grande carcere, e un popolo muto d'infami ragni tende le sue reti in fondo ai nostri cervelli, improvvisamente delle campane sbattono con furia e lanciano verso il cielo un urlo orrendo, simili a spiriti vaganti e senza patria, che si mettono a gemere ostinatamente.

E lunghi trasporti funebri, senza tamburi né bande, sfilano lentamente nella mia anima; vinta, la Speranza piange; e l'atroce Angoscia, dispotica, pianta sul mio cranio chinato il suo nero vessillo."

C. Baudelaire, "Spleen", Les fleurs du mal

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