martedì 19 agosto 2008

Diario di viaggio

Viaggio. Tentativo di risalire dal gorgo buio della "saudade".
Sangue dentro le vene che anzichè raggrumarsi in secchi e opachi ristagni immobili, si scioglie come le nevi al primo timido sole di marzo.
Piccole variazioni.
Vaghi sussulti dinnanzi a mondi ignoti che ci catturano e ci incantano.
Riuscire, di nuovo, per brevi attimi, a sentire la Bellezza che scorre tra le viscere compresse e schiacciate dal clamore costante e scrosciante del dolore.
Ma sono fugaci gli sprazzi di vita, perchè la memoria è un fardello che ci insegue ovunque. E ci stana sempre. Anche se ci nascondiamo dentro bunker ermetici, lei ci trova, annusa, come animale selvatico, il nostro rancido odore di anime marce, corrose dalle ossessioni, e ci stritola tra i suoi tentacoli mefitici.
Usa ogni pretesto, ogni inganno, l'infame furia furente, per insinuarsi come serpe velenosa nelle intercapedini dei pensieri.
Ogni luogo è colmo di ami ricurvi a cui rimangono incagliati frammenti di passato e strascichi di struggente dolcezza. Persino laggiù, persino a chilometri di distanza.
Mi sono immersa dentro cieli lontani, sconosciuti e volubili, illudendomi che essi fossero intonsi, sgombri da ingombri e logori squarci di opprimenti ricordi.
Ombre lunghe, triste companatico della sera, da tagliare con coltelli affilati per ingoiarne le carni.
Alter ego impavido, appiccicato alla mia pelle. Gemello omozigote sempre con me, fedele compagno di incubi. Chi è? Sono io? Quante sono le identità possibili?
Una, nessuna e centomila... E si consuma il teatro della vita.
Gioco pericolante e pericoloso.
I sassi che si lanciano nel mare lo scuotono, ne corrugano la superficie, creano un brivido di rottura che infrange la monotonia. Ma ben presto i cerchi concentrici scompaiono, la superficie si ricompone e tutto torna come prima, tutto si annulla, tutto sfugge.
Ogni tumulto si dissolve, prima o poi. Ogni fremito, ogni gioia. Anche ogni sofferenza.
Acque limpide come specchi di fulgore opalescente dentro cui annegare e perdersi.
Scintille liquide di sogni che svettano e si confondono con le lacrime.
Cielo basso, dove le nuvole si inseguono e si speronano, come bambini in festa, come danzatrici ubriache.
Nembi gonfi e gravidi di pioggia e vento.
E poi campi di grano impressi con lacerante sofferenza su una tela bianca.
Pennelate rabbiose, spesse e cariche di grida silenziose.
Scontri e incontri di colori urlanti.
Corvi neri e torvi che divorano il cervello e ne fanno cibo per i vermi.
Spararsi al petto era l'unica disperata ancòra di salvezza.
Mai addentrarsi al di là del bene e del male. Mai superare il confine stabilito.
Il limite che separa la ragione dalla follia è labile come un filamento di saliva.
E per celia di ingrata e sarcastica sorte, il mondo prima disprezza e distrugge, e poi osanna e costruisce templi d'oro per le sue vittime sacrificali, quando ormai esse, seppellite in fondo alla terra, giacciono ignare della propria gloria immortale.
Ora sono tornata a cieli più alti, ma più foschi e plumbei. Il respiro non muta: è sempre asfittico.
Osservo, attonita, questo firmamento che pare lontano come un sogno inafferrabile.
I miei occhi, perle di lapislazzuli frastornate e questuanti, camminano rotolando verso il cielo. Ma mai lo raggiungono.
La mia distanza dalle stelle è incalcolabile. La rotta è inversa: porta in basso, pur guardando in alto. Errore di navigazione cosmico ed emozionale che non si riesce a emendare.
Di nuovo qui, in un "qui" che è spazio inesistente e indolente, estraneo al presente, che ondeggia tra rigurgiti di cordoni ombelicali sfilacciati che lo legano a un passato deforme, non più reale.
La mente crea qualsiasi cosa. Anche il proprio Averno, a regola d'arte. E l'arte non ha regole.
Di nuovo alle prese con gironi infernali cupi e mesti, dove tutto è uguale a tutto.
Il senso si smembra nell'indifferenziazione oscura di un'accidia furiosa e soverchiante senza nome e senza tempo.
Questi schizzi convulsi di inchiostro sono la mia unica salvezza.

"E il mio maestro mi insegnò come è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire"

F. Battiato, "Prospettiva Nievskij"

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