mercoledì 30 luglio 2008

Perverse contaminazioni

Una foglia secca mi è balzata addosso, all'improvviso, sospinta da un vento sardonico e beffardo. Secca, come la lingua arsa dalla sete. Secca, come i sentimenti consumati dall'afa. Secca, come la mia pelle, la mia anima e i miei nervi dopo tutte queste innumerevoli e tumultuose tempeste. L'ho guardata, l'ho osservata, con ironia, disprezzo e sarcasmo. Possedeva un fascino strano e torbido: la seduzione irresistibile della decadenza. Era cosparsa di venature piccole e sottili, come ragnatela indipanabile e fitta di pensieri svuotati dall'attesa e soverchiati dal dolore.
Basta sfiorare appena una foglia secca e immediatamente essa si spezza, come sottile velo di pane azimo.
L'ho lanciata dall'auto in corsa, lungo la strada rigurgitante di squallide e opache normalità racchiuse dentro soffocanti scatolette di latta.
Via. E' scivolata via, come tutta la mia vita, in un lampo di cielo d'estate.
Buttare via. E' un ordine impellente e improrogabile che martella la mia mente, una priorità necessaria alla sopravvivenza. Gettare al vento sogni, speranze, illusioni, rabbia, delusioni, dolori, senza dimenticare neanche l'ombra di una timida stella.
Cancellare ogni dato immagazzinato in memoria. Reset. Bisogna riprogrammare tutto dopo l'avarìa disastrosa di questo delicato ingranaggio. Il danno è troppo esteso, ha inficiato ogni cosa.
Già: ogni cosa, non c'è nulla che riesca a eludere questa catastrofe.
Ogni luogo, ogni oggetto, ogni pensiero, ogni emozione, ogni sogno, ogni parola. Tutto è contaminato.
Non c'è modo di trasformare le associazioni e i nessi. E' un tripudio delirante di evocazioni incessanti. Bisognerebbe avere la forza e la capacità di modificare i significati senza intaccare i significanti: impresa titanica e utopica.
E, come in un infernale supplizio, ci si incaglia e ci si invischia in ciò che si tenta di distruggere. Quasi sempre l'epilogo inevitabile è l'autodistruzione. I pensieri di aggrovigliano e si attorcigliano attorno alle proprie ossessive e folli frenesie. Il cortocircuito è la logica conseguenza della propria perniciosa autoreferenzialità. Ogni cosa parte da lì, e lì vi fa ritorno, in modo subdolo e viscido, come un naufrago vomitato dal mare alla deriva di se stesso. Quando si cerca di bloccare il flusso dei ricordi è troppo tardi: la catena ci ha già completamente avviluppati.
E neppure il furore dell'ira può liberarci da questa tragica e meravigliosa tortura.
Perchè il veleno che sputiamo non fa che avvelenarci.

"Perchè morire e far morire è un'antica usanza che suole aver la gente"

G. Gaber, "Il dilemma"

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