giovedì 31 luglio 2008

Dissolvenza

Arriva un momento in cui la vita ci chiede il conto. Non si può più procrastinare. E tutto ciò che avevamo ignorato o lasciato sospeso viene rigurgitato dalle viscere della nostra anima con violenza e veemenza.
Non si può andare via senza aver guardato almeno una volta il sole nascere dal ventre del mare, senza essersi persi negli occhi di qualcuno, senza essersi innalzati in volo con i gabbiani, senza aver viaggiato tra le dolcezze di un sogno. Ma si può andare via sconfitti e sgomenti, con addosso solo l'odore dei ricordi e tra le mani macerie di speranze corrose dalla salsedine.
Ci si può consumare, giorno dopo giorno, lasciandosi stringere dal vuoto, lasciandosi lambire da un tempo inesistente e mendace. E si giunge, prima o poi, a un punto di non ritorno. Allora mente e corpo divengono ombre fievoli, e di noi rimane solo più un ologramma evanescente, uno sparuto e patetico scheletro che traballa a ogni passo. E mentre frammenti di cielo si schiantano a terra, ogni spazio intona un canto di lontananza e commiato.
La vita, a volte, passa e ripassa sugli stessi sentieri e si lacera lungo il filo tagliente delle stesse lame, come un abito liso che rimanga incagliato tra le spine. Tutti uguali i capolinea. Tutti uguali i fallimenti. A furia di affastellare un masso sull'altro le fondamenta della casa cedono e crollano.
Questa volta vado via davvero, questa volta, forse, non torno più. Forse non ci sono già più, forse sono già partita.
Vedo un urlo cieco che si contorce tra le spirali vermiglie di un sole insanguinato. Ora capisco, fino in fondo, che cosa voleva esprimere Edvard Munch.
Mi volto, come un Orfeo imprudente e impaziente, a guardare i passi che più non sento. Ed Euridice si dissolve. Avevi i passi lievi, troppo lievi per ammansire la mia infinita paura, ma abbastanza fragorosi e cadenzati per riempire di musica e bellezza la mia anima. Ti avevo quasi trascinato via, fuori dagli inferi, lontano da quel magma torbido. Maledetta e infame paura. Maledetto delirio di onnipotenza.
Ora seducenti e voluttuose baccanti divoreranno le mie carni. E sia.
Ho sfidato la sorte troppe volte. E' ora di pagare il fio per la mia tracotanza.
Si parte sempre da un luogo per arrivare a un altro luogo. Questo è un viaggio.
Qui si parte dal niente per arrivare al niente. Questa è la morte.
E sono così stremata che non ho neppure più paura.

"Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue."

E. Montale

Nessun commento: